martedì 20 dicembre 2011

INFERNO - CANTO III



La specificità

La specificità in questo canto è data dalla PORTA DELL’INFERNO, che indica la GIUSTIZIA DIVINA
Dal versetto 1 al versetto 9 c’è la scritta, l’insegna che si trova sulla porta dell’inferno. “per me si va alla città dolente...” ecc ecc cioè “attraverso di me” (la porta) “si va alla città dei dolenti...”
Nel primo versetto c’è anche un’ANAFORA “per me si va.. per me si va” cioè una ripetizione all’inizio della frase
Ai versetti 4-6, le parole indicano chiaramente il carattere provvidenziale di questa giustizia in quanto opera della Trinità Divina. “Giustizia mosse il mio alto fattore; facemi la divina podestate, la somma sapienza e ‘l primo amore.”
L’inferno è il luogo dei diavoli, non degli uomini.
Quando l’angelo Lucifero si ribellò a Dio, venne cacciato dal cielo. Precipitando verso la terra, Lucifero formò la voragine dell’Inferno, nella quale lo seguirono tutti quegli angeli che come lui scelsero di ribellarsi a Dio. Così Lucifero diventò il diavolo.
L’Inferno è la città del male.
Dio ha discriminato tra il bene ed il male, vita e morte.
Con la ANNOMINAZIONE  “...dolente... dolore” e con l’ASTRATTO “eterno dolore”, Dante sottolinea la caratteristica dell’ambiente infernale.
L'annominazione è una figura retorica che consiste nella ripetizione di una stessa radice etimologica in più vocaboli diversi.   
L’insistenza (v2 e v8) sul concetto dell’eternità, “etterno dolore” e in seguito “se non etterne io etterno duro”  puntualizza la differenza con  il mondo dei viventi.
Le parole sono forti e con il III canto Dante inizia ad usare un linguaggio duro: iniziano ad arrivarci i sospiri, i lamenti, le grida, i pianti, i guaiti in un crescedo di dolore.

In un ambiente come l’inferno era indispensabile una guida.
Virgilio, infatti, non si limita a spiegare, ma prende materialmente per mano il suo discepolo, quando questi gli domanda smarrito di non comprendere il significato delle parole iscritte sulla porta dell’inferno. Per ben 4 volte Dante si rivolge a Virgilio per chiedere spiegazione delle cose che vede e Virgilio risponde per 3 volte in modo affettuoso, prendendolo per mano. All’ultima domanda, quando Dante chiede chi sono quelli che vede sulla riva del fiume Acheronte, Virgilio si spazientisce e gli risponde bruscamente che vedrà a suo tempo.

Il canto è costruito a blocchi che non sono fusi, in quanto si riescono ad individuare sequenze ben distinte.
E’ uno schema a quadri chiusi. Secondo gli studi di Eric Auerbach,  ricopia la struttura della Chanson de Geste.

La vigliaccheria è il primo male dell’inferno, dove vengono puniti gli ignavi.
La loro maledizione è di essere rifiutati sia dal bene che dal male.
Insieme alle anime degli ignavi, ci sono anche gli angeli che non hanno seguito nè Dio nè Lucifero ( vv 61-63) “a Dio spiacenti e a’ nemici sui”
L’invidia verso tutti i dannati, unitamente alla dimenticanza e sommo disprezzo dell’umanità, rappresentano l’essenza della pena dei vigliacchi.
La grandezza d’animo si oppone alla pusillanimità.
Le punte estreme bene/male sono rappresentate da personaggi influenti ( vv 58-60). Dante non fa i nomi, ma si presume che alludesse a papa Celestino V, che rinunciò al Pontificato, quando dice “fece il grande rifiuto”, quindi per Dante è un pusillanime.

La schiera interminabile di anime è la prova che la vigliaccheria è un male molto diffuso. Le anime sono costrette ad inseguire una bandiera.
Chi è stato pigro sulla terra, ora corre; siccome in vita non ha voluto prendere decisione, ora è costretto ad inseguire una bandiera.
Questi dannati sono nudi, punti da vespe ed il sangue delle loro ferite, mescolato alle lacrime, diventa pasto per i vermi ( vv 64-69).
Lo stimolo che li spinge ora è così vile perchè in vita non sono stati punti da ideali nobili.
Il Contrappasso è un’ALLEGORIA su cui è basata la pena: LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO è molto usato nella Divina Commedia. Tutte le figure presenti nell'Inferno e nel Purgatorio sono colpite da tale legge con punizioni adeguate alla loro condotta in vita.
Le anime degli ignavi che in terra predilessero una vita fatta di inerzie e di non parteciapazione sono condannate ad una corsa frenetica ed insensata.
Chi ha scelto l’anonimato della non-scelta, non merita di essere ricordato.
Anche Virgilio dice a Dante di non stare tanto a guardarli e di passar oltre.

Allora Dante alza lo sguardo verso il fiume Acheronte e vede altre anime. E’ a questo punto che chiede a Virgilio chi sono e ne riceve una risposta brusca. Mortificato, Dante si prefigge di non chiedergli più niente fino a che non vi fossero giunti.

Caronte è il primo guardiano infernale, barcaiolo, traghettatore di quel fiume.
Caron Dimonio, come lo chiama Dante, è un demonio medievale, frutto della culura classica. I tratti della sua malvagità (vv 82.87.97.99) sono presenti anche nell’Eneide!
Ma chi era un dio in quest’opera, in Dante diventa demonio.
Da ciò deriva il gridare scomposto, le lanose gote, occhi rossi “occhi di bragia”, caratteristiche tipiche del demonio.

Caronte pronuncia la prima profezia sul futuro: il poeta non è destinato a salire sulla sua barca, con altri mezzi e con altre destinazioni Dante raggiungerà l’eternità
“Per altra via, in altri porti verrai sulla spiaggia dell’eternità”
Virgilio spiega che Caronte trasporta anime in peccato mortale pertanto è un bene che non voglia traghettare Dante: è perchè sa che la sua anima è innocente.
Alla ragione umana classica spetta il compito di chiarire le parole di Caronte e dare una speranza di “salus”.

Alla fine del III canto Dante racconta che dopo le parole di Virgilio sentì un terremoto fortissimo, seguito da un gran vento che fece lampeggiare una luce rossa che lo fece svenire.
Nè Dante nè noi lettori sappiamo come sia stato trasportato al di là del fiume Acheronte.

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